Lo scandalo del calcio-scommesse 1986 mise in luce
un giro di scommesse illegali relative ad alcune partite di calcio nei
campionati professionistici nella stagione 1984/85 e nella stagione 1985/86. L'inchiesta,
che seguì una vicenda analoga scoppiata nel 1980, nacque da alcune
intercettazioni telefoniche e venne condotta dal Procuratore di Torino Giuseppe
Marabotto (processo penale) e dal Procuratore Federale Corrado De Biase
(processo sportivo). Furono coinvolte squadre di serie A, B, C1 e C2, a
dimostrazione che quella del gioco illegale era una pratica diventata ormai
consueta e tacitamente accettata in tutti i gradini del sistema calcio.
LO SCANDALO NAZIONALE
Il 14 aprile 1986, in seguito ad intercettazioni
telefoniche, prende il via a Torino un’inchiesta che, nel giro di pochi giorni,
porta in carcere diversi personaggi del mondo del calcio, soprattutto a livello
di serie C; particolarmente coinvolta la Pro Vercelli. Tra gli arrestati c’è
anche l’ex capitano del Piacenza Gianfilippo Reali, che ha appeso le scarpette
al chiodo per diventare dirigente di una piccola squadra del Bergamasco, il
Sarnico. In breve lo scandalo si allarga, coinvolgendo anche Udinese e Napoli,
accusate di aver combinato il pareggio nel confronto diretto, e il Lanerossi
Vicenza, il cui presidente Maraschin è sospettato di aver pilotato diversi
risultati sia nel campionato 1984/85 (serie C1) sia in quello successivo (serie
B). Il personaggio chiave della vicenda è Armando Carbone, braccio destro di
Italo Allodi (a quell'epoca dirigente del Napoli). Il 2 maggio Carbone si
costituisce, iniziando a collaborare con il giudice Marabotto. Carbone confessa
l'esistenza di un giro di scommesse riguardanti alcune partite di calcio nei campionati
professionistici, dalla serie A fino alla C2, dal 1984 al 1986.
Contemporaneamente si apre a Palermo un secondo filone d’inchiesta.
Dario Maraschin, all'epoca presidente del Lanerossi
Vicenza, a sua volta confessa di aver versato 120 milioni di lire per vincere
la partita contro l'Asti (già retrocesso al momento dell’illecito) e lo
spareggio per l’accesso alla serie B contro il Piacenza nel campionato di serie
C1 1984/85, ma di non aver truccato nessun incontro nel 1985/86 in serie B. In
realtà erano state raccolte alcune intercettazioni telefoniche che dimostravano
il contrario, soprattutto negli incontri contro Monza e Perugia. Coinvolti
anche il dirigente veneto Salvi, il direttore sportivo Rizzato e il capitano
Franco Cerilli.
Oltre a Napoli, Udinese e Vicenza, vengono deferite
alla Procura Federale della FIGC presieduta da De Biase numerose altre squadre,
tra cui Lazio, Perugia, Monza e Palermo. Le sentenze di primo grado,
pronunciate tra il 5 e l’11 agosto 1986, vedono l’assoluzione del Napoli e del
suo dirigente Allodi. Pesanti le sanzioni per l’Udinese: retrocessione in serie
B e 5 anni di squalifica al presidente Mazza e al general manager Tito Corsi,
ritenuto l’artefice della combine con il Napoli. Il Vicenza viene privato della
serie A conquistata al termine della stagione 1985/86: questa l’unica sanzione
nei confronti dei veneti. Dario Maraschin e Franco Cerilli vengono condannati a
5 anni di squalifica con proposta di radiazione. Il
Perugia, già retrocesso in C1, viene mandato in C2; la stessa società umbra
s'era espressa a favore di tale provvedimento, preferendolo ad una forte
penalizzazione in punti da scontare la stagione successiva.
Decine di giocatori, dirigenti e presidenti vengono
inibiti e squalificati per anni; Gianfilippo Reali viene condannato a 3 anni e
3 mesi. In appello la CAF alleggerisce notevolmente le pene, soprattutto per
l’Udinese, il suo presidente Mazza, la Lazio e Maraschin; la condanna per Reali
viene invece aumentata a 3 anni e 9 mesi. Condannati per omessa denuncia anche
l’altro ex biancorosso Alfio Filosofi (contattato proprio da Reali per
“aggiustare” Reggiana-Virescit) e il futuro allenatore del Piacenza Gigi Cagni,
all’epoca giocatore della Sambenedettese.
Altri dettagli nella pagina di Wikipedia dedicata
al Totonero-bis.
Inizialmente l’ambiente piacentino accoglie la
notizia dell’arresto di Reali come un fulmine a ciel sereno: Reali era l’uomo-spogliatoio,
leader naturale e tramite tra società e giocatori. Così si esprime Snidaro: “Ho
saputo da un amico dell’arresto di Reali, non volevo crederci”[1];
anche gli altri ex compagni sono decisamente sorpresi. Il timore è che il
Piacenza possa essere coinvolto nell’inchiesta per responsabilità oggettiva, e
il dirigente Quartini si affretta a precisare: “Durante la sua permanenza a
Piacenza Reali non ha fatto sorgere in noi nessun sospetto. Anzi, voglio dire
una cosa a chiare lettere: il Piacenza è assolutamente estraneo a questo tipo
di discorsi” [2]. Ben presto,
però, il nome del Piacenza compare nell’inchiesta nell’ambito dello spareggio
perso con il Vicenza il 16 giugno 1985; in particolare, è forte il sospetto
(già palpabile al’epoca della partita) che l’esito dell’incontro fosse stato
pilotato. Una prima, parziale conferma arriva il 18 aprile da Guido Legrenzi,
costruttore edile di Brescia ed ex giocatore nel S.Angelo coinvolto
nell’organizzazione delle scommesse clandestine. Secondo Legrenzi, “Maraschin
sarebbe stato indotto a versare 60 milioni per facilitare la sconfitta del
Piacenza nello spareggio con la sua squadra che doveva decidere chi delle due
sarebbe salita in serie B. La partita finì bene per i biancorossi, 3-1, e
Maraschin pagò; o almeno così dice Legrenzi. Ma pare che il Piacenza abbia
perso per conto suo, senza nessun intervento particolare. E i 60 milioni
rimasero nelle tasche di chi aveva pensato di organizzare il trucco, ma non lo
fece”[3].
La “bomba” per il Piacenza, però, scoppia il 30 maggio, con la confessione di
Maraschin: il presidente veneto avrebbe sborsato 120 milioni per vincere la
partita contro l’Asti e soprattutto lo spareggio; 40 milioni sarebbero andati a
Reali, per favorire il successo dei veneti. L’accordo, sul campo, sarebbe stato
sancito da gesti concordati tra Reali e l’altro capitano, Franco Cerilli. Un
tradimento in piena regola, insomma, che Reali ha sempre negato con forza, pur
ammettendo altre responsabilità nella vicenda calcioscommesse. Ma la
ricostruzione chiude il cerchio dei sospetti che l’ambiente piacentino nutriva
da un anno. In un’intervista televisiva del 1998 il giornalista Armando
Alessandri, al seguito della squadra a Firenze, ricostruisce un episodio
avvenuto negli spogliatoi poco prima della partita: “Al Comunale di Firenze
[...] gli spogliatoi erano uno al piano terra e uno al primo piano. Per errore
sono finito negli spogliatoi del Vicenza, nel corridoio dove si stava scaldando
proprio Cerilli. Ci siamo incontrati, Cerilli si è fermato e mi ha guardato
come se aspettasse che io gli dicessi qualcosa. Io l’ho guardato, poi sono
uscito. È un particolare stupido, banale, ma dopo, ripensando a tutto quello
che era successo, qualcosa mi ha fatto pensare”[4].
E ancora Alessandri: “Fuori dai microfoni, la prima persona che ho sentito è
stato l’ingegner Fortunato Rota, che era un dirigente importante del Piacenza
di allora, e che poi lasciò la società [...] Una persona che tra l’altro aveva
giocato a calcio a livello dilettantistico, che se ne intendeva. Lo avvicinai
[...] e lui era scatenato proprio nei confronti di Reali per il terzo gol: “Si
è comportato come un bambino, non si può, arrivano in due, bisogna chiudere,
aspettare...”. E questa è un’altra cosa che, ripensando a quello che era
successo... lui forse aveva già capito che qualcosa non aveva funzionato nel
modo giusto” [5]. Rivedendo i
filmati, la responsabilità di Reali appare invece abbastanza evidente nel
secondo gol realizzato dal Vicenza. Nella stessa intervista, Reali sostiene di
essere estraneo ai fatti: afferma infatti di essere rimasto coinvolto a causa
delle proposte ricevute da un emissario di Armando Carbone, a cui avrebbe
opposto un netto rifiuto.
Al danno poi sia aggiunge la beffa. Come appare chiaro
fin da subito, il Piacenza non può ottenere alcun risarcimento dalla vicenda,
men che meno una promozione in serie B “a tavolino”. Dal punto di vista
giuridico, infatti, si rimane in ambito sportivo, nel quale la prescrizione per
i reati era all’epoca di soli 6 mesi, e la confessione di Maraschin arriva a un
anno di distanza. Lo spareggio di Firenze, in effetti, non figura tra le 30
partite sotto inchiesta. Al Piacenza, difeso dall’avvocato Peppino Prisco (il
leggendario vicepresidente dell’Inter) non rimane altro che chiedere un
risarcimento danni di un miliardo al Vicenza, richiesta che però cadrà nel
vuoto. È invece molto dura la reazione della società biancorossa nei confronti
della sentenza d’appello della CAF, che alleggerisce molte condanne tra cui
quella del presidente del Vicenza Maraschin. Il futuro presidente Fabrizio
Garilli, all’epoca consigliere, commenta: “Apprendo con molto rammarico le
sentenze romane. È il trionfo dell’ingiustizia”[6].
L’aspetto che più infastidisce il Piacenza è il rigetto del ricorso presentato
contro la sentenza di primo grado, allo scopo di “sondare” la possibilità di
ottenere un qualche risarcimento sportivo: viene infatti applicata alla lettera
la legge sportiva, per la quale eventuali reati legati allo spareggio sono
caduti in prescrizione. Vengono invece accettati i ricorsi presentati da
Vicenza e Udinese, firmati da presidenti colpiti da inibizione.
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campionato
[1] “Libertà”, 16 aprile 1986, pag. 12
[2] “Libertà”, 16 aprile 1986, pag. 12
[3] “La Repubblica”, 19 aprile 1986
[4] Tratto dalla trasmissione “Album Biancorosso”, in
onda su Telelibertà nell’inverno 1998/1999
[5] Tratto dalla trasmissione “Album Biancorosso”, in onda
su Telelibertà nell’inverno 1998/1999
[6] “Libertà”, 29 agosto 1986, pag. 13