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La fallimentare gestione Simoni riporta il Piacenza tra i cadetti dopo 6 anni

STAGIONE 1999/2000

 

SERIE A

 

Per il terzo anno consecutivo il Piacenza sostituisce l’allenatore che lo aveva condotto alla salvezza: una scelta annunciata con Mutti (promesso al Napoli), sorprendente con Guerini, spiazzante ma non troppo nel caso di Materazzi. Il tecnico sardo, che era stato capace di coniugare risultati e bel gioco, paga un feeling non ottimale con una parte dello spogliatoio; difficoltà che erano trapelate già nel finale di stagione.

Dunque via Materazzi, ed ecco al suo posto Gigi Simoni. Ha un palmarès eccezionale, esperienza da vendere e fino all’anno prima era sulla panchina dell’Inter; ma sopra ogni altra cosa, è un allenatore simbolo della Cremonese. Non gli viene perdonato dai tifosi, fin dal primo giorno, e l’avventura parte già ad handicap. Non ha in mano una squadra disprezzabile, anzi: l’unica cessione pesante è quella di Simone Inzaghi, che va alla Lazio in cambio del portiere Roma, del mediano Morrone e di una ventina di miliardi in contanti. Al suo posto si punta sul neoacquisto Arturo Di Napoli e sul rilancio di Dionigi, il resto rimane invariato salvo gli innesti autunnali dell’ala Gautieri e di Statuto, un gradito ritorno.

Ci si culla sull’illusione di avere una squadra e un tecnico adatti per cercare qualcosa in più della salvezza. Ma è un Piacenza profondamente diverso da quello di Materazzi, per concezione di gioco e per modo di stare in campo. Si punta prima di tutto a non scoprire la difesa, il centrocampo viene imbottito di marcatori e mediani, Stroppa scivola rapidamente in panchina con l’etichetta di lusso tattico che non ci si può permettere. Si torna insomma al Piacenza di Mutti e Guerini, senza però averne l’ardore agonistico anche perché il gruppo è a fine ciclo. Lo stesso Simoni appare non pienamente coinvolto nella situazione, come se non avesse assorbito il traumatico esonero interista. In più si trova ad affrontare un dramma personale quando a seguito di un grave incidente muore il figlio Adriano.

È un Piacenza timoroso e con poco mordente, incapace di creare gioco e gol anche per la crisi nera degli attaccanti (Dionigi in primis, beccatissimo dal pubblico). La classifica piange, e la difficile situazione scoperchia notevoli problemi in società, legati a contrasti violentissimi tra Stefano e Fabrizio Garilli che coinvolgono anche e soprattutto le sorti della Camuzzi. In dicembre, dopo uno 0-0 interno contro il Perugia e una marea di fischi, Stefano Garilli si dimette: “lascio per il bene della città e della società”, è la sua dichiarazione. In realtà è in corso la sua uscita di scena dall’ex impero dell’Ingegnere, e il Piacenza Foot-ball Club passa nelle mani di Fabrizio che nomina Giampiero Tansini amministratore delegato.

Il cambio di marcia non arriva, si tenta la carta dell’esonero. Simoni salta dopo il rovescio di Cagliari, nello scontro diretto di gennaio: al suo posto viene varata una soluzione interna, con la promozione del vice Maurizio Braghin affiancato per ragioni di patentino da Daniele Bernazzani, tecnico dalla Primavera. Serve una punta, soprattutto dopo la cessione di Dionigi e quella di Stroppa dettata da molteplici ragioni (contrattuali, economiche e di scarso impiego). Marchetti insegue invano il milanista Ganz così Braghin e Bernazzani si devono arrangiare con Alberto Gilardino, il centravanti della Primavera che non sfigura ma è inevitabilmente acerbo. La squadra ha un breve sussulto all’inizio del girone di ritorno ma i problemi sono troppo strutturali e il treno della salvezza sfugge quasi subito, mentre la società finisce sotto accusa per una serie di scelte sbagliate e per aver sostanzialmente gettato la spugna con largo anticipo. La matematica retrocessione arriva sul campo del Perugia, nel giorno dell’ultima gara da professionista del 41enne Pietro Vierchowod, prima del congedo con un poco glorioso ultimo posto.

 

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